Introduzione

perche soffriamoSiamo il più delle volte convinti di conoscere noi stessi. Di sapere esattamente cosa ci spinga ad agire in un modo o nell'altro nelle situazioni di vita. Il più delle volte siamo convinti di sapere esattamente non solo cosa ci spinga a una determinata azione, ma anche cosa proviamo in risposta agli eventi. Ebbene, il più delle volte scambiamo la teoria che abbiamo costruito nel tempo su noi stessi per la realtà. Non siamo mai tanto lontani da noi stessi come quando di noi stessi facciamo oggetto di ragionamento logico; ancora di più se oggetto di racconto ad altri. In realtà stiamo solo raccontando ciò che è più congruo con l'immagine astratta che coltiviamo della nostra persona. Anche quando le emozioni che proviamo sono ovvie, come quando abbiamo paura o ci sentiamo tristi, non è difficile che siamo lontani dal capirne il vero significato. Diciamo a noi stessi e agli altri che abbiamo paura delle malattie, di morire, o che accada qualcosa a coloro che amiamo; o che siamo tristi perché il mondo è fondamentalmente brutto, perché la vita non ha senso, perché ci manca il passato, perché non ci sentiamo amati. Siamo spesso fuori strada. Queste sono solo ragioni "a portata di mano" che usiamo per giustificare ai nostri stessi occhi, e a quelli degli altri, le nostre emozioni; per fornire loro una parvenza di senso. Ma a queste ragioni manca il necessario collegamento con il nostro vero essere. Questo collegamento non è immediatamente accessibile alla coscienza, non ne siamo abitualmente consapevoli. Coglierlo richiede la giusta attenzione e il coraggio di comprendere senza giudicare. Un modo possibile per avviarsi sulla strada per cogliere quel collegamento richiede nel comprendere cos'è uno schema.

 

Cos’è uno schema

Lo schema è come l'involucro delle caramelle Rossana. Il gioco che facevamo tutti con l'involucro delle caramelle Rossana, magari proprio mentre ne assaporavamo lentamente il sapore di nocciola e mandorla, consisteva nel porre quell'involucro davanti agli occhi e osservare come lo spazio circostante diventasse completamente rosso. L'involucro delle Rossana era convincente nel far sembrare che il mondo fosse diventato rosso. Uno schema è lo schermo posizionato a nostra insaputa tra noi e gli eventi. Non esiste esperienza di vita e di relazione che non debba attraversare questo schermo prima di arrivare a noi. Non c'è nostra azione in risposta a questa esperienza che non sia mediata da questo filtro. Esso determinerà quello che in risposta a un evento proveremo, penseremo, ci aspetteremo, l'immagine che avremo di noi stessi e degli altri, e la risposta a quell'evento. Tutti questi elementi nel loro insieme costituiscono l'involucro della nostra personalissima Rossana. Con la differenza che nel caso della caramella saremo ben consapevoli di star facendo un gioco che consiste nel simulare che il mondo sia diventato rosso. Nel caso dello schermo costituito dallo schema, per noi non si tratta affatto di un gioco, e purtroppo non siamo affatto consapevoli di avere qualcosa davanti ai nostri occhi. Per noi il mondo è veramente diventato rosso. Anzi ci sembra che lo sia sempre stato e che lo sarà in futuro. Vediamo ora più nel dettaglio cosa significa che "il mondo è diventato rosso".

Per comprendere profondamente cosa significhi che i nostri schemi danno continuamente colore e forma al mondo e agli altri, dobbiamo premettere un aspetto fondamentale: siamo esseri che per muoversi nel mondo hanno bisogno di prevedere continuamente cosa accadrà. Dobbiamo sempre sapere, o credere di sapere, cosa aspettarci, altrimenti saremmo sempre in preda a caos e disorganizzazione. Sapere cosa aspettarci dalle situazioni come dagli altri. Gli schemi sono appunto lo strumento che la mente utilizza per non essere mai colta impreparata. Uno schema è quindi innanzi tutto una specie di copione che detta quello che gli attori faranno e diranno sulla scena. Le loro intenzioni nei nostri riguardi. Noi, che possediamo quel copione, siamo contemporaneamente l’attore principale e il regista che sa esattamente cosa aspettarsi dagli altri attori presenti sulla scena. Possiamo pertanto definire uno schema come un sistema di previsioni, di aspettative su ciò che accadrà, e di interpretazione della realtà; come un insieme di aspettative su come gli altri risponderanno ai nostri bisogni. La conseguenza più importante è che lo schema, come un copione invariante radicato profondamente dentro di noi, guiderà il significato che diamo agli eventi che si verificano nelle relazioni, da quelli apparentemente più banali a quelli più complessi.

 

Un esempio

Quando entriamo in un bar con l'intenzione di prendere un caffè stiamo in qualche modo esprimendo un bisogno. Magari è il bisogno di essere trattati cordialmente dal barista. Quando quel bar è "il solito bar", quello in cui entriamo ogni giorno prima di andare al lavoro, e soprattutto se siamo un po’ giù d’umore, il bisogno che stiamo esprimendo più o meno consapevolmente non è lontano da un bisogno di accudimento; qualcosa che si avvicina al desiderio di essere coccolati e confortati. Ebbene, immaginiamo che nel bar entrino due persone con lo stesso bisogno di essere "coccolate" dal barista. La prima persona si sente triste e ha effettivamente sul viso un'espressione triste, ma allo stesso tempo l'atto stesso di entrare nel bar accende una luce fioca nella penombra cupa di quella tristezza, dipinge sul volto un lieve sorriso. L'altra persona non è propriamente triste; più esattamente ha una specie di tristezza rabbiosa, che modella il suo viso in un'espressione che sembra dire "oggi è meglio che non mi facciate domande!"

Qual è la differenza tra questi due individui? Perché pur avendo in fondo al loro animo lo stesso bisogno affettivo, si comportano in maniera così diversa? Ci viene naturale rispondere: "per il loro carattere". Ma è proprio questo il punto. La risposta è nei diversi elementi che formano il "carattere". Uno di questi elementi é il temperamento, quella parte del carattere geneticamente determinata che decide la "temperatura" delle nostre emozioni, quanto si assoceranno per esempio a un'attivazione o a uno spegnimento del corpo; se per esempio la tristezza sarà associata a un sorriso mesto o a un’irritazione spigolosa. Ma qui non ci occuperemo del temperamento. L'altro elemento del carattere, di cui ci occuperemo, è la particolarità individuale degli schemi. Molto probabilmente il primo individuo entra nel bar con il bisogno di essere accudito, compreso, coccolato - un bisogno che si è attivato perché vive un momento di vulnerabilità -, associato all'aspettativa, alla previsione che il barista lo accoglierà, lo accudirà secondo i modi previsti dal suo ruolo (salutarlo cordialmente, notare l'espressione triste, dargli attenzione, metterlo a suo agio, ecc.); gli darà insomma la risposta più idonea rispetto al suo bisogno. Non diversa, anche se su un'altra scala, dall'abbracciare un figlio quando è impaurito o triste. Il primo dei due individui descritti ha quindi uno schema interno in base al quale si aspetta che quando avrà bisogno di essere accudito troverà dall'altra parte qualcuno pronto a farlo. Di conseguenza, in modo del tutto automatico (lo ricordiamo, non sa di avere l'involucro della Rossana davanti agli occhi, non è consapevole del suo schema), esprimerà la sua richiesta, il suo bisogno affettivo di accudimento in un modo adeguato. Le emozioni che proverà e le espressioni del suo viso saranno coerenti con il suo bisogno. La sua tristezza e l'espressione triste del suo viso, appena attenuata dal sorriso, invoglieranno l'altro a fornire conforto attraverso la cordialità o la solidarietà. Sarà proprio questo schema a generare quella specie di impercettibile sollievo dalla tristezza già al semplice atto di mettere piede nel bar. Forse, nell'atto stesso di aprire la porta del bar, un pensiero si affaccerà alla mente: "qui troverò una bella accoglienza e un po’ di consolazione ai miei guai!".

Che succede invece nella mente dell'altro individuo, quello con la tristezza rabbiosa e l’espressione un po’ torva? Non è difficile che quella tristezza rabbiosa e quell’espressione siano il precipitato di uno schema differente, in base al quale tutte le volte che avrà bisogno di accudimento e comprensione, troverà un altro indisponibile, indifferente, forse anche critico, o umiliante. In base a questo copione interno, entrerà nel bar già con l’aspettativa che chi gli sta intorno, barista compreso, sarà disinteressato a lui. Più forte sarà il suo bisogno, la sua speranza di ricevere una parola di conforto, più forte sarà la convinzione di trovarsi di fronte a un altro indisponibile, forse addirittura giudicante. Lo schema agisce dalle profondità della psiche facendo sentire questo individuo ferito come chiunque di noi che si trovasse in una situazione reale in cui chiede conforto e ottiene una risposta negativa. Egli non sarà giù d’umore solo per i suoi problemi contingenti, ma anche perché si aspetta che il mondo se ne infischierà di lui proprio ora che ne ha più bisogno. Ecco allora spiegata la rabbia che il secondo individuo cova, e l'espressione torva del suo viso. Esse sono la risposta naturale e ovvia a un altro che ha risposto negativamente a un bisogno affettivo. Ci arrabbiamo sempre con coloro che incolpiamo della nostra solitudine.

Ciò che è importante comprendere da questo esempio è che il barista non ha nulla a che fare con lo schema. Lo schema è un copione che giace nella mente dei nostri due individui. Il barista è solo uno dei tanti altri possibili.

C'è di più. Nel primo caso é facile che il barista accoglierà il bisogno del nostro personaggio perché nota la sua espressione triste. Riceve cioè dal nostro personaggio un segnale chiaro: "oggi sono triste, puoi per favore accorgertene e darmi conforto?". Il lieve sorriso del nostro personaggio invoglierà inoltre il barista a rivolgergli una parola cordiale perché questi non percepirà il rischio di essere respinto. Al contrario, il barista non sarà affatto incoraggiato a rivolgere la parola al secondo individuo; l'espressione torva di quest'ultimo lo frenerà. Questo avviene a chiunque di noi. Difficilmente rivolgeremmo la parola a chi ha un'espressione rabbiosa o irritata.

Di tutto questo, nessuno dei due individui che entrano nel bar avrà la minima consapevolezza. Molto probabilmente essi saranno consapevoli solo, il primo della sua tristezza e di una nota di vaga piacevolezza che sembra sorgere nell'organismo e attenuare quella tristezza; il secondo della sua rabbia, e della convinzione che quello sarà l'ultimo caffè che prende in quel bar.

 

Come nascono gli schemi

Fin da bambini manifestiamo una serie di bisogni. Da neonati, il primo in assoluto è il bisogno che qualcuno si occupi con sollecitudine di noi per farci sentire sicuri e protetti, nutrendo il nostro corpo, assicurandone l’igiene, ma soprattutto preservandoci dalle sensazioni sgradevoli, dolorose o minacciose. Poi, già a partire dai primi giorni di vita e in tutto il corso della nostra crescita, ne emergono altri via via più complessi, che ci accompagneranno da adulti, per sempre. Essere accuditi, amati, consolati, aiutati, compresi, ascoltati, riconosciuti nel nostro valore, appoggiati nelle operazioni che facciamo per esplorare il mondo in autonomia, ed altri. Interagendo con chi ci sta vicino nel corso della nostra crescita riceviamo risposte a questi bisogni che, in modi qualitativamente diversi, sono nella sostanza di gratificazione o di frustrazione. I genitori sono le prime figure importanti con cui ci confrontiamo e possono essere la fonte primaria di soddisfacimento o meno di alcuni bisogni, come l’accudimento e la protezione. Non solo i genitori, ma anche tante altre figure significative intervengono nella nostra vita a soddisfare o meno tali bisogni, come i nonni, i parenti stretti, gli insegnanti o gli amici intimi. Ora, i bisogni si presentano più o meno quotidianamente. Cosa accade dunque se nell’ambito dei nostri scambi relazionali non sempre riusciamo a ottenere una risposta positiva? Accade che tali esperienze negative possono modellare una percezione interna negativa di noi stessi.  Proviamo a spiegarlo con un semplice esempio. Un bambino di tre anni mostri un disegno alla madre o al padre dicendo: "Guarda!". Il bambino non si aspetta un giudizio estetico. Pochissimi di noi, infatti, risponderebbero: "Non male, ma la prospettiva e il chiaroscuro vanno completamente rivisti. Quindi esercitati ancora, fanne un altro e poi portamelo in visione!" Il bambino, oltre a divertirsi ed esprimersi attraverso il disegno, lo sta utilizzando anche per esprimere il bisogno che il suo valore, la sua identità, siano riconosciuti da un altro per lui importante. Il bisogno che ciò che egli fa (che egli è) riesca a catturare l'attenzione di un altro che ama. Si tratta di uno dei bisogni la cui espressione e il cui destino sono a fondamento dell'identità di un individuo. Immaginiamo che tutte o quasi tutte le volte in cui questo bisogno emerge, la risposta di uno o di entrambi genitori sia di noncuranza, rabbia, giudizio. Il ripetersi di situazioni in cui il bisogno di riconoscimento incontra una di queste risposte negative finisce con l'incidere tali risposte nella mente del bambino, creando lo scheletro dello schema. Da adulti continuiamo a mostrare i nostri disegni al mondo e agli altri e a dire "Guardate!". Continuiamo a chiedere riconoscimento per il nostro valore. Nel bambino che ha ricevuto una risposta negativa questo bisogno di riconoscimento del valore sarà tutt'uno con la sensazione che gli altri non saranno pronti a riconoscerlo, anzi criticheranno. Immaginiamo poi che quel bambino nella sua crescita impari ad ammirare, a considerare come "vincenti" un insegnante o degli amici che disprezzano gli altri. Assumendoli come modello, quel bambino potrebbe trovare nel tempo un modo per rispondere a quel bisogno insoddisfatto di riconoscimento. O meglio, per coprire in qualche modo quel malessere sordo e indistinto che cresce dentro un individuo il cui bisogno di riconoscimento non sia mai stato accolto. Da un certo punto in poi lo schema diventerà allora più complesso, iniziando a comprendere, oltre a "botta e risposta", anche una "contro-risposta". Quel bambino, alle soglie dell'adolescenza potrebbe avere uno schema che a volerlo tradurre in parole, suonerebbe più o meno così: “quando desidero che il mio valore sia riconosciuto, gli altri mi criticano, e l'unico modo per soffrire meno è contrastare in anticipo la critica è disprezzare gli altri”.

Schemi del genere hanno conseguenze. La "controrisposta" - il disprezzo in questo caso - può attutire la sofferenza derivata dal non sentirsi riconosciuto, ma non lo fa fino in fondo. Quella sofferenza rimane sullo sfondo, pronta a emergere con varie forme di malessere, di cui l'individuo non riuscirà a comprendere l'origine, e che potranno esprimersi sotto forma di sintomi psichiatrici (ansia, depressione, disturbi ossessivi, disturbi alimentari, ecc.). Inoltre, schemi come questo hanno un impatto sulle relazioni con gli altri. Quasi sempre un impatto devastante sulle relazioni amorose.

 

Conclusione

Riassumendo, uno schema è quindi una regola, una sorta di equazione personale - che non si sa di possedere e di usare - perché la ripetizione di situazioni simili che hanno mostrato quella regola, l'hanno impressa nella mente. Lo schema è paragonabile alla forma particolare di "ricordo senza ricordo" che abbiamo di una qualsiasi sequenza di gesti acquisita attraverso l'abitudine e la ripetizione. Una volta fissato, lo schema sarà utilizzato dalla mente come cartina della Rossana per valutare e prevedere come si comportano gli altri di fronte ai nostri bisogni. Comprendere i propri schemi è il primo passo per fuoriuscire da un’illusione e per poter finalmente vedere la realtà e noi stessi in tutte le sfumature, attraverso un ventaglio di prospettive più ampie e flessibili.

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